Qualche mese fa il nostro paese si è preso un bel quattro meno in pagella dall’OCSE, in termini di corruzione percepita. Siamo in compagnia del Ghana e della Macedonia (con tutto il rispetto per questi ultimi due), peggio di noi solo la Grecia nel vecchio continente. Non si tratta della solita punizione per il primo quadrimestre (sperando che l’alunno migliori nel secondo), piuttosto ritrae bene il discente nella sua complessa incapacità.
La vicenda ILVA parte da lontano e ne rappresenta un bello spaccato. Dettagliare, tuttavia, tutte le traversie risulterebbe dispersivo e poco comprensibile, per cui ripartiamo da avvenimenti significativi più recenti.
Il nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Lecce nella primavera del 2011 – ci troviamo in piena fase istruttoria dell’AIA versione Prestigiacomo – invia un informativa al dicastero di via Colombo, dal titolo «Emissioni in atmosfera dello stabilimento Ilva Spa. Comunicazioni… - dove i pubblici ufficiali - … segnalano le seguenti irregolarità rilevate a seguito degli accertamenti esperiti presso lo stabilimento Ilva Spa di Taranto» in particolare, nel documento ci si sofferma sui fenomeni di «slopping» che caratterizzavano alcune aree dell’acciaieria.
Ma l’istruttoria relativa all’autorizzazione integrata ambientale, avviata mesi e mesi prima va avanti e si chiude il 4 agosto del 2011: l’ILVA ha la sua AIA prot. DVA-DEC-2011-0000450.[1]
A.D. 2012, brutto anno per la famiglia Riva: a marzo, non soddisfatta della nuova autorizzazione, l’Ilva impugna davanti al Tribunale amministrativo locale il Piano di controllo. Vuole meno controlli. Il Collegio amministrativo giudicante l’11 luglio, in linea con quanto già affermato con l’ordinanza cautelare del 9 marzo 2012 n. 201 «… osserva che le divergenze si prestano a ingenerare perplessità in ordine agli adempimenti cui l’ILVA deve attenersi, per cui deve pronunciarsi l’illegittimità del Piano di Monitoraggio e Controllo assunto nell’AIA, in tutti i censurati punti in cui si manifesta la contraddittorietà rispetto al parere istruttorio definitivo della Commissione AIA-IPPC».[2]
Nello stesso periodo – su impulso della Procura della Repubblica di Taranto - il Sindaco di Taranto, sulla base del contenuto della relazione dei periti nominati dal GIP, nell’ambito dell’indagine condotta nei confronti dei responsabili dello stabilimento, emana l’Ordinanza del 25 febbraio 2012 n. 14 dove ingiunge «1) "di procedere entro e non oltre 30 giorni, alla installazione sul camino E312 dell'impianto di agglomerazione di un sistema di campionamento di lungo periodo..."; 2) "di adottare idonee ed efficienti modalità di contenimento del sistema di scarico delle polveri abbattute dagli elettrofiltri ESP e MEEP a servizio del camino E312..."; 3) "l'avvio con immediatezza delle attività finalizzate alla realizzazione, nel più breve tempo tecnicamente possibile, di adeguato sistema di abbattimento polveri relativo alle acciaierie, con obbligo di comunicare il cronoprogramma entro 15 (quindici) giorni..."; 4) "il completamento delle procedure operative e gestionali, finalizzate ad evitare o minimizzare le emissioni fuggitive, con l'obbligo di comunicare il cronoprogramma entro 15 (quindici) giorni..."; 5) "sino all'adozione dei provvedimenti previsti dall'AIA e finalizzati alla mitigazione degli effetti derivanti dalle emissioni inquinanti, di limitare la produzione effettiva a non oltre 10 milioni di tonnellate annue". Il tutto sotto la comminatoria che "in caso di mancata osservanza di quanto sopra disposto, gli impianti interessati dal presente provvedimento dovranno sospendere la loro attività";…»; ma nulla da fare, il Tribunale amministrativo di Lecce[3]risponde picche, non sono faccende di cui si deve occupare un comune, inoltre l’atto difetta della contingibilità e dell’urgenza (almeno sull’assenza imprevedibilità direi di convenire)
Che strano: coincidenti in termini temporali - rispetto all’interessamento della procura penale jonica - il susseguirsi affannato di ulteriori iniziative ‘contro’, dello stesso tenore:
- il 5 marzo 2012 il Presidente della Regione Puglia richiede il riesame dell’autorizzazione alla luce di specifici monitoraggi effettuati da ARPA Puglia
- con nota DVA-2012-7062 del 9 marzo 2012 si richiede alla Commissione istruttoria AIA-IPPC di avviare le attività propedeutiche ad avviare il riesame richiesto dal Presidente della Regione Puglia
- con nota CIPPC00-2012-110 del 13 marzo 2012 il Presidente della Commissione istruttoria per l’AIA-IPPC, rappresenta l’opportunità di avviare un riesame con riferimento all’avvenuta emanazione delle pertinenti <<conclusioni sulle BAT>>
Ma la macchina della magistratura penale si è avviata. Le cose cominciano a prendere una piega diversa. Si parte il 26 luglio 2012: sequestrata l’«area a caldo» dello stabilimento (si proseguirà il 26 novembre le «aree a freddo»). Viene fuori un disegno criminoso dove vengono arrestati il patron dell'Ilva Emilio Riva e suo figlio Nicola, il direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, il capo dell'area parchi Marco Anselmi, il capo area agglomerato Angelo Cavallo, il capo area cokerie Ivan Di Maggio, il capo area Altoforno Salvatore De Felice e il capo area acciaieria Salvatore D'Alò.
Nelle carte si parla di «disastro ambientale doloso e colposo». L'organizzazione - secondo i giudici tarantini – disperde, da almeno 20 anni, «sostanze nocive nell’ambiente» provocando «eccessi significativi di mortalità per tutte le cause e per il complesso delle patologie tumorali, per singoli tumori e per importanti patologie non tumorali, quali le malattie del sistema circolatorio, del sistema respiratorio e dell'apparato digerente, prefigurando quindi un quadro di mortalità molto critico»; dal 1995 al 2002 è stata registrata «significativamente in eccesso la mortalità per tutti i tumori in età pediatrica (0-14 anni)» .
Secondo lo stesso GIP[4] lo stop deve essere immediato «a doverosa tutela di beni di rango costituzionale come la salute e la vita umana che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta». Tecnicamente sono molte le irregolarità presentate. Il giudice, stesso, definisce ‘sconcertante’ l’esito del sopralluogo del NOE di Lecce «…. Durante la fase di scaricamento i militari notavano personalmente, in sede di sopralluogo, la generazione di emissioni fuggitive provenienti dai forni che, una volta aperti per fare fuoriuscire il coke distillato, lasciavano uscire i gas del processo che invece dovrebbero essere captati da appositi aspiratori/abbattitori». Tra i vari inquinanti registrati ed emessi dallo stabilimento tarantino, viene posta anche la questione delle diossine (che sappiamo essere tra i più potenti veleni conosciuti al mondo), un inquinante bioaccumulabile[5], di cui, nel corso delle indagini i periti dei magistrati hanno verificato, con un analisi comparata, le caratteristiche chimiche specifiche (profili dei congeneri 'fingerprints' dei contaminanti), le quali riconducono i PCDD/F e PCBdl trovati sul territorio e negli animali a quelli prodotti nell'attività di sinterizzazione dell'area agglomerazione (campionando sopratutto tra le emissioni diffuse e le poveri nei filtri) dell'azienda in maniera certa: in buona sostanza i profili dei congeneri trovati nei terreni di pascolo o nelle carni ovine ed in genere nelle bestie che pascolano nei territori circostanti - che possiamo paragonare ad impronte digitali, dna, o simili, dell'indagato - sono pressochè sovrapponibili rispetto a quelle presenti nelle emissioni inquinanti dell’Ilva. Ciò considerando che per tali tipologie di inquinanti la degradazione ambientale negli anni e praticamente ininfluente.
Ma proprio l’estate scorsa, a seguito di tale atto di forza della magistratura, sindacati, autorità locali, chiesa (si, anche la chiesa) ma soprattutto il governo, ed in particolare il ministero competente, si accorgono che c’è un problema Ilva in Italia e, nello specifico, in quel di Taranto.[6] Il primo a darsi seriamente da fare è proprio Il ministro Clini che si interessa della vicenda e riapre l’AIA targata Prestigiacomo, mostrando, in questo modo, implicitamente, che la prima autorizzazione pur essendo andata a buon fine, poteva non contenere sufficienti presidi a tutela della salute e del territorio.[7]
La nuova autorizzazione integrata ambientale arriva a fine ottobre. E pensare che la mattina del 18 ottobre, i custodi giudiziari avevano fatto pervenire, in pieno svolgimento della conferenza di servizi, una lettera con la quale ribadivano critiche all'Ilva per la scarsa collaborazione.
Ma, da parte sua, anche la magistratura tira dritto. L’inchiesta continua e, con questa, arriva il braccio di ferro con azienda e politica (trasversalmente più che mai): le procedure di spegnimento degli impianti sequestrati procedono, l’impianto – viene precisato dal GIP - rimane acceso non per produrre ma per essere spento.[8] Ma il management aziendale insiste, nonostante i sigilli, l’azienda continua ad operare producendo acciaio. Ecco perché la produzione passa sotto sequestro preventivo il 26 novembre, ed in particolare (oltre l’area a freddo) tutto il prodotto finito giacente sulle banchine del porto.[9]
Intanto l’inchiesta in autunno si allarga. Fabio Riva, raggiunto da altra ordinanza di custodia cautelare, non si trova; dentro anche il consulente delle procura, ed ex preside della facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari, Lorenzo Liberti, accusato di aver intascato mazzette da parte di alcuni dirigenti dell’acciaieria affinchè addolcisse una perizia che la Procura di Taranto gli aveva commissionato sulla diossina.[10]
Finisce novembre, arriva una nuova decisione sulla seconda istanza di dissequestro inoltrata: respinta.
La politica si rende conto che solo l’AIA, nulla può contro i provvedimenti della magistratura. In fondo si tratta solo di un semplice atto amministrativo. Allora decide di andare giù pesante. La sera del 3 dicembre, il presidente della Repubblica, Napolitano emana un decreto legge, il numero 207 recante «disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale». Nel testo, trasmesso lo stesso giorno dalla presidenza del Consiglio, si dice che, non tutti, ma alcuni possono inquinare. Si crea un «modello Ilva» per tutti i casi di emergenza ecologica e sanitaria che abbiano determinate caratteristiche.[11] Un vero e proprio, jus singulare, un diritto speciale per l'impresa che inquina, che gli consente di svolgere un'attività produttiva mai possibile secondo le leggi ordinarie e costituzionali.[12]
A questo punto levata di scudi e proteste dei nostri rappresentati ? Niente, affatto, solo teste basse, risposte irritanti e di circostanza.
Lo stesso testo, tuttavia - a conferma dell’approssimazione che contraddistingue alcuni uffici legislativi nazionali - essendo entrato in vigore successivamente al sequestro del materiale presente sulle banchine, oggetto del reato, non ne consente comunque la vendita. Tanti soldi ancora sotto sequestro. Il pallino di tutti è ancora la merce sequestrata: soldi, tanti soldi, quindi, che qualcuno dice servirebbero per gli stipendi. Il ricatto occupazionale, che ha accompagnato la vicenda, ora si fa più violento.[13] All’orizzonte qualcuno propone la vendita della merce, con affido a uno dei custodi giudiziari-amministratori nominati per il sequestro dell'area a caldo, e rimasti in carica. Con il ricavato, posto in un deposito e sottoposto a vincolo, si consentirebbe il pagamento degli stipendi.
Ma, niente paura. A conferma della sfrontatezza, l’esecutivo, in fase di conversione (legge 231/2012) del decreto legge 207, inserisce il correttivo per `sbloccare´ il milione e 700mila tonnellate di acciaio sulle banchine Ilva perché, come spiega lo stesso ministro Clini, così si da «coerenza» all’attività produttiva e alla commercializzazione. Me' cojoni! All’azienda, cioè, deve essere consentito anche di commercializzare i prodotti realizzati mentre compiva un reato (ricordiamo prima dell’entrata in vigore del decreto).
D’altronde, la stessa GIP, Todisco un po’ se lo sentiva che stava per alzare un bel bordello contro i poteri forti, se ha ritenuto necessario rimarcare, nell’ordinanza, il giuridicamente ovvio: lesioni di principi costituzionali che «..non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni».
Purtuttavia i magistrati jonici non si arrendono e compatti presentano il ricorso alla Corte Costituzionale. Secondo la procura di Taranto la legge 231 (conversione del d.l. 207/2012) viola la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Carta europea dei diritti dell’uomo e il Trattato di Lisbona. Quindi, sostanzialmente, se il nostro Stato avesse deciso di rinunciare ad alcuni diritti fondamentali indicati anche nella Carta Costituzionale potrebbe trovare ostacolo negli accordi, sempre di rango Costituzionali, internazionali. In più, se i giudici della Corte Costituzionale – che proprio oggi si riuniscono in camera di consiglio per valutare l'ammissibilità dei due conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato presentati dalla procura di Taranto contro il governo - condividono la leggitimità del ricorso, questo andrà notificato all’altra parte, cioè al governo uscente, e dovrà essere fissata l’udienza in cui discuterlo. Intanto trascorrerà del tempo, forse mesi: nel frattempo l’efficacia della legge non sarà mica sospesa.
Frattanto latitanza finita per Fabio Riva, vicepresidente dell’Ilva, il vice-patron si è consegnato a Scotland Yard, ma è tornato in libertà sotto cauzione, in attesa del giudizio per l’estradizione.
Il processo mediatico continua. Dentro maestranze, management, giudici, governo,…. malati e morti (in contumacia).
Ma cosa si poteva fare di diverso da quanto è stato fatto ?
Ammettiamo di condividere l’idea che esistono interessi pubblici superiori in cui inserire il diritto alla salute e la tutela del bene ambiente, e, riconosciamo anche, che ci deve essere un bilanciamento di tali interessi, con altri principi costituzionalmente rilevanti, come la salvaguardia dell’occupazione, il mantenimento dell’ordine pubblico e della « ... priorità strategica di interesse nazionale». Aggiungiamo, inoltre, che non sia possibile conteggiare pesi e differenze tra tali principi, se mai possa risultare utile. E se mai qualcuno lo volesse fare, svolgerebbe solo un astratto e teorico esercizio dialettico-dottrinale, paragonabile ad un chiacchiericcio sviante e fastidioso.
Ciò detto, tuttavia, quello che appare veramente ingiustificabile e indigeribile, è la mancanza di qualsivoglia censura (presente e futura) - nella legge 'urgente' - nei confronti di chi, quei principi, li ha attaccati, calpestati e messi in discussione nel corso degli anni. E allora perché non procedere con una requisizione dello stabilimento.[14] Rischi di mercato non se ne vedono: parliamo di un industria che opera in un mercato a dir poco oligopolistico. Perché non prevedere una deviazione di tutti i flussi finanziari della gestione. Perché non mantenere tutto al di fuori della disponibilità della famiglia Riva e dell'impresa. Perché non vincolare tutti i saldi positivi di cassa accantonati per bonifica e risarcimenti.
[1] Solo con le intercettazioni telefoniche e ambientali presenti nell’informativa della GdF, relative alla successiva operazione “Ambiente svenduto”, risulterà, che i dirigenti e consulenti dell’Ilva si “attivarono” con funzionari della Regione Puglia e chiaramente anche con la commissione ministeriale per “ammorbidire” e pilotare l’AIA in quel periodo. E in una informativa al gip Patrizia Todisco, la Procura di Taranto scrive: «Dalle intercettazioni emerge come anche al livello ministeriale fervevano i contatti non proprio istituzionali per ammorbidire alcuni componenti della Commissione incaricata di istruire l’Aia 2011. Il fatto che la Commissione debba essere pilotata e che comunque sia stata in qualche modo avvicinata, si rileva anche da una conversazione in cui l’avvocato Perli di Milano, legale esterno dell’Ilva, aggiorna Fabio Riva dei rapporti avuti con l’avvocato Luigi Pelaggi (capo dipartimento del Ministero dell’Ambiente). Da quanto riferisce Perli, si rileva che Pelaggi abbia dato precise disposizioni all’ingegner Dario Ticali, presidente della Commissione, su come procedere».
[2] Per la cronaca: «Presidente della Commissione Istruttoria AIA-IPPC, non costituito in giudizio; Commissario Straordinario ISPRA, non costituito in giudizio; Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Regione Puglia, non costituita in giudizio; …»
[3] 00355/2012 REG.RIC. del 19/09/2012 «A quanto sopra si deve aggiungere che dal complesso degli atti posti a fondamento dell’ordinanza impugnata l’autorità procedente non desume l’accertamento della violazione delle prescrizioni imposte dall’AIA del 4 agosto 2011, adottata in base alla normativa vigente, ma piuttosto la necessità della adozione di ulteriori cautele; questo ovviamente comporta l’esercizio di competenze che spettano ad altre autorità.
Inoltre, difetta l’altro elemento tipico che deve sorreggere l’ordinanza contingibile ed urgente, non palesandosi l’insorgenza improvvisa di una situazione di danno alla salute della collettività ed, anzi, essendo la questione, nella sua complessità, già sottoposta all’attenzione delle Autorità amministrative coinvolte. »
[4] dr.ssa Patrizia Todisco, giudice per le indagine preliminari di Taranto
[5] le sostanze bioaccumulabili, in questo caso cancerogene, disperse nell'ambiente e a contatto con l'organismo umano o animale restano disciolte nei cuscinetti adiposi invece di essere trasportate fuori dall'organismo divenendo sempre piu' concentrate nella catena alimentare e in ragione della propria tendenza ad accumularsi
[6] La stessa Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha scritto pesanti accuse nei confronti degli enti territoriali competenti: «Pare incredibile che nel corso degli anni non sia stata messa in atto una strategia di controlli, di prescrizioni, di verifiche che potesse garantire il perseguimento degli obiettivi produttivi dell'impresa senza alcun pregiudizio per la salute umana. Che cosa sia stato fatto dagli organi di controllo e dagli enti territoriali nel corso di decenni non è dato sapere»
[7] Il 27 novembre sono state acquisite a Bari e a Roma i documenti relativi all’Autorizzazione Integrata Ambientale del 4 agosto 2011 con cui il ministero dell’Ambiente del governo Berlusconi permise all'Ilva di continuare l'attività, nonostante il rischio di inquinamento. Il documento fu firmato anche dal ministro Stefania Prestigiacomo e dall’allora direttore generale del dicastero, Corrado Clini, oggi ministro dell'Ambiente….. pare che lui, tuttavia, come dichiarato in un intervento televisivo si occupasse di Cina in quel periodo, quindi la sua firma ‘non vale’
[8] Con un apposito provvedimento del 10 agosto 2012 il GIP Patrizia Todisco , in poche parole, precisa che «vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati ... » e sollecita «tutte le misure tecniche necessarie a scongiurare il protrarsi delle situazioni di pericolo e ad eliminare le stesse» inoltre precisa che NON si prevede «.. alcuna facoltà d'uso» degli stessi «a fini produttivi»
[9] Per i giudici «Ferrante ha dimostrato, pur presentando ricorsi legittimi, discutibile e scarsa disponibilità a collaborare con l'autorità giudiziaria, palesata soprattutto in maniera chiara con la volontà, o quantomeno l'interesse, a proseguire l'attività produttiva, che darebbe luogo a protrazione o aggravamento di conseguenze dannose di reato, giunte, invero, già a livelli allarmanti».
[10] Secondo quanto ricostruito e ipotizzato dagli investigatori, Liberti avrebbe ricevuto da Archinà una mazzetta di 19 mila euro nel parcheggio dell'Autogrill lungo l'autostrada tra Bari e Taranto. Quei soldi, secondo la Finanza, dovevano servire ad «aggiustare» la perizia che il professore avrebbe di lì a poco depositato. L'incontro avvenne il 26 marzo del 2010 nella stazione di servizio Le Fonti Est, nei pressi di Acquavivalungo l'autostrada A14. Archinà ha consegnato al perito una busta bianca.
[11] la nuova categoria di stabilimenti industriali, sottoposti ad AIA, con non meno di 200 lavoratori dipendenti
[12] l’art. 41 della Costituzione Italiana (o principio della libertà di iniziativa economica) «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana..... »
[13] è corretto ricordare che la FIOM, nonostante il profilo basso mantenuto nei decenni passati sull’inquinamento ILVA, in questo ultimo periodo non si è messa né contro i magistrati ne con i padroni come hanno fatto altri
[14] Cfr Avv. Pellegrino intervista pubblicata su lettera43.it