Conseguenza immediata di questa situazione sono le due voragini sanzionatorie con risvolti diversi nel sistema penale piuttosto che in quello amministrativo.
Partiamo da quest’ultimo. Leggendo l’art. 1 della legge 689/81 si capisce subito che per la punibilità dell’illecito è determinante il momento di commissione del fatto[2]. D’altronde la stessa giurisprudenza di cassazione ha affermato che “.. In materia di illeciti amministrativi, l'adozione, risultante dall'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dei principi di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell'analogia, comporta l'assoggettamento del comportamento, rilevante anche ai fini della prescrizione, alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole e preclusione - a ragione della differenza qualitativa delle situazioni considerate - anche della possibilità dell'applicazione analogica dell'opposta regolamentazione di cui all'art. 2, commi secondo e terzo, cod. pen…”[3] , senza che rilevi la circostanza per cui la disciplina più favorevole sia entrata in vigore anteriormente all’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione [4]. Altro caso è invece la fattispecie sanzionabile che si identifica come illecito a consumazione prolungata, quando ad esempio ci sono più atti, contemplati dalla stessa fattispecie punita, che incidono sul momento della consumazione, per cui si applica l’ultima norma (anche più svantaggiosa) in ordine temporale a patto che uno o più atti ritenuti illeciti si siano consumati sotto la vigenza della ‘nuova’ disciplina[5].
Ciò detto, pertanto, se il quadro amministrativo delineato è corretto - e dunque vige il principio rigido secondo cui ‘tempus regit actum’ - avremo semplicemente (si fa per dire) un vuoto sanzionatorio amministrativo di cinque mesi (senza parlare di evenutali ulteriori proroghe).
La cosa invece si complica sotto l’aspetto penale. Ricordiamo infatti che all’art. 2 c.3 del C.p. il principio che si segue è quello del ‘favor rei’ per cui nel caso in cui la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e la legge successiva stabiliscono delle sanzioni di entità diversa si applica la legge più favorevole per l’imputato. Nel caso di specie, trovandoci di fronte ad una vera condizione di ’abolitio criminis’[6], è facile immaginare quali siano le conseguenze favorevoli, in termini sanzionatori per gli stessi soggetti che non solo delinquono ma che hanno già visto accertato e condannato l’illecito in tempi passati[7].
Non confortano, a tal proposito le pronunce della stessa Cassazione penale, laddove si precisa che “… in tema di successione di leggi penali, l'applicazione retroattiva della legge più favorevole permane anche se, successivamente, la stessa venga modificata in senso meno favorevole, venendo così ripristinate le pene più severe previste da altra legge anteriore che la legge "xxxx" aveva a sua volta modificato ….” [8]
E’ singolare ed interessante, tuttavia, in questo contesto, leggere le autorevoli posizioni che si sono venute a creare, sul lato dottrinale. Tra queste c’è chi, anticipando una ‘reviviscenza’ della normativa precedente, ritiene che le valutazioni sopra riportate, di fatto letterali, non solo non siano condivisibili ma “… fuori di ogni logica comune (prima ancora che giuridica)...” e privi di finalità e logica legislativi [9], con ciò declassando a argomenti di rango secondario (ad un “pour parler” per capirci), a sommesso avviso di chi scrive, la rilevanza di alcuni principi cardine nel nostro ordinamento - leggi art. 25 della Costituzione "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso" - il cui rispetto andrebbe inquadrato in un ottica di massima razionalità e letto come imprescindibile principio di certezza del diritto (buon senso anche questo ?).
Con un parallelismo, difatti, a supporto di tale tesi (reviviscenza), viene richiamato un caso, ritenuto simile, affacciatosi in campo edilizio qualche anno fa e conclusosi in favore di una assenza di vuoto normativo (approposito di carenza di finalità logica e legislativa, la stessa fattispecie era stata trattata diversamente, da come la vedremo concludersi, in primo grado dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere [sentenza del 22/4/02] e dal Tribunale di Ivrea [sentenza del 3/7/2002] che avevano pronunciato l’assoluzione per la “realizzazione abusiva” ... per cui era stata letta un abolitio dai tribunali di primo grado). Lo stesso caso, inoltre, a memoria, riguardava un differimento dell'entrata in vigore di un nuovo testo normativo che a sua volta, però, aveva già sostituito - seppur per 9 giorni - il previgente, e, perdipiù, in una prospettiva di continuità ed omogeneità normativa [10]. A tal proposito val la pena ricordare che nel nuovo sistema sanzionatorio (non ancora vigente) non tutto è rimasto uguale. Basti pensare a come nel nuovo schema si presenta: la derubricazione da rilevanza penale a violazione amministrativa di alcuni illeciti relativi alla condotta del trasportatore - laddove si fa riferimento, per una minore sanzione, non più alla ricostruzione delle informazioni, bensì alla generica possibilità che le condotte non pregiudichino la tracciabilità [11] dei rifiuti - oppure, l’inserimento dell’art. 260-ter in tema di sanzioni accessorie, così non previste in precedenza, per proseguire con il fumoso e nuovissimo c. 5 [12] dell’art. 260-bis, introdotto nella nuova disciplina sanzionatoria (in barba al più banale principio di tassatività e determinatezza), ancora, la novità relativa alla configurazione dell’applicazione dell’art. 483 [13] per i non pericolosi… e così via.
Dall’altra parte, ancora, molti sono i giuristi che, pur rilevando il pasticcio, si sono messi alla finestra a guardare ed hanno rinviato la questione ai collegi giudicanti, quasi rassegnati al fatto che non interverrà nessun nuovo ed auspicabile provvedimento legislativo [14], che faccia rientrare l’emergenza - in un ottica meno fatalista - e che elimini quanto più possibile quella anomalia sempre più caratterizzante il nostro paese, che vede come elemento di normalità, l’incapacità e l’imperizia del legislatore e come conseguente elemento di fatto, il trasferimento del ‘potere legislativo’ ai collegi giudicanti.
In conclusione mi preme precisare (qualora fosse necessario) che osservare ed evidenziare le sopra descritte storture normative, non significa affatto condividerne o peggio auspicarne le spiacevoli conseguenze, anzi tutt’altro. Sappiamo che cercare di fare chiarezza e rendere consapevoli della situazione, tutti, potrebbe aiutare a decidere o quanto meno ad attenuarne gli effetti più deleteri, ben sapendo che chi ci rimette in questo disordine e sciattume normativo è la credibilità di uno Stato, che, aldilà dei principi, delle future conclusioni e delle disquisizioni dottrinali, diffonde un messaggio, sotto il profilo della legalità (sia chiaro per entrambe le parti in causa: controllati e controllori), molto sgradevole "... a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente.." [15].